L’introduzione del disco, babylon, venne scritta da Ale con fruity loops: un arpeggio di chitarra acustica, doppiato da un synth, e seguito da una batteria elettronica. Io registrai la voce, mentre la parte della batteria elettronica venne tagliuzzata dall’infaticabile Willy, che sostituì colpo su colpo con cassa, rullo e Charleston della sua batteria acustica.
Share your suicide era basata su una sequenza di accordi di Ale e da un recitato di Cinzia, sulla disperazione della quotidianità. La eseguimmo qualche volta dal vivo utilizzando un drone in sol registrato su un multitraccia fostex a cassetta, mentre io mi destreggiavo in parti di stick a dir poco complesse. La registrazione ci permise di usare un drone meno fastidioso e più gestibile (mi pare fosse un suono della korg triton); gli strepitosi vocalizzi di Vittoria ricamavano un crescendo fino al “ritornello” (così lo chiamavamo, ma quello di definire il concetto di ritornello è sempre stato un duro lavoro per noi).
Careful: un vecchio cavallo di battaglia di Luther Blisset, tributo non troppo velato ai Floyd di Careful with that axe, Eugene. Anche in questo caso la dinamica era parte integrante della composizione, ma la registrazione multitraccia a strumenti separati fallì nel rendere la forza rudimentale che mettevamo nelle nostre performance dal vivo.
Polipeptide era un funkettone in cui la chitarra di Ale e il mio basso si incrociavano sinuosamente. Il ritornello era nato una sera in saletta: stavo cercando le note per una parte di flauto traverso, e mi ritrovai a cantare “metabolismo del polipeptide”: la risata di Ale che chiude il disco venne registrata insieme a quell’improbabile (ed esilarante) ritornello.
Dream no.3, ballad imperniata su una semplice scala discendente, doppiata dal flauto traverso, con sentori jeffersoniani e una seconda parte più hard, era il brano che avrebbe potuto spalancarci le strade verso il grande successo commerciale. Avrebbe potuto.
L’altra ballatona presente (8 days, ma il titolo originale era eight days in the life) era un non molto velato tributo ai beatles, sotto forma di citazioni testuali e musicali; ma nessuno di noi ha mai avuto la mano “pop” di Lennon / McCartney.
Hypnopotamus era un brano semplice, ma colpiva nel segno. Pagava un evidente scotto ai gong, reiterando ipnoticamente (appunto) un riff basato su due accordi, la minore e do minore. Penso che contenga il mio unico solo di basso ad oggi nella discografia micotica.
Latin Circle derivava dai primi vagiti mossi dai funghetti, e giocava sulla ripetizione ossessiva di un pattern latino. Non ero un flautista così bravo come può sembrare nel disco, l’editing mi diede una grande mano (e così fece con la batteria di Willy!)
In generale, Careful è un disco che mi piacque e tuttora mi piace: utilizzavamo la dilatazione floydiana e l’atmosfera per coprire qualche carenza nel songwriting, ma lo facevamo con cognizione di causa e già un minimo di padronanza del linguaggio.